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SCESPIR n.4

Che gran "casino" essere un buon operatore
Parlare della formazione di operatori per il teatro dei ragazzi non è cosa semplice. Chi lavora in questo campo si muove in almeno tre grandi ambiti: didattico, tecnico e burocratico. Un buon operatore teatrale deve essere acuto come uno psicologo, deciso come un allenatore sportivo, creativo come un pubblicitario e paziente come un diplomatico. Non è poco vero? e non è tutto: deve essere anche sorprendente come un mago e curioso come un bambino.
Anche dando per scontato che chiunque operi nella scuola abbia delle competenze psicopedagogiche e conosca quelle che sono le necessità evolutive specifiche dei ragazzi con cui opera, resta un bel "casino". Lasciamo dunque la didattica all'università o agli ambiti specifici della formazione. Diamo solo per scontato che il teatro dei ragazzi si connota di una dimensione pedagogica, come possibilità di condurre un'esperienza di autoeducazione fondata sulla convinzione (Piaget) che il bambino si serve del gioco in generale, e di quello drammatico in particolare, per conoscere e misurarsi con la realtà.
La cosa più importante è conoscere il teatro; parlare il linguaggio del teatro o i linguaggi dei teatri che dir si voglia. Perché com' è pacifico che non si possa insegnare il nuoto senza saper nuotare così non si può far fare teatro senza essere stati attori. Recitare è un'esperienza esistenziale, se non la si è provata sulla propria pelle non si può certo comunicarla ad altri.
Bisogna che un operatore faccia o abbia fatto tanto teatro. Non dico corsi di tecnica, anche quelli certo, ma soprattutto deve aver vissuto o poter vivere il momento psicologico-antropologico dell'essere attore. Agire come un altro differente da quello che si è, o che si crede di essere, proponendosi come altro ad altri è importantissimo per chiunque, ma è indispensabile per chi vuole operare col teatro nella scuola. La tecnica ci serve per essere bravi maghi o buoni allenatori, per realizzare cose vedibili e godibili dagli spettatori, ma non basta per essere costruttori di quell'esperienza che noi chiamiamo "Teatro" sia esso con, per o dei ragazzi.
Per fare questo bisogna, oltre ad averlo vissuto, capire l'importanza dell'indagine, della ricerca, della voglia di essere vivo, di esprimere ciò che si ha dentro. Inoltre è indispensabile (ammesso che si possa) imparare ad essere creativi e sopratutto a rispettare la creazione degli altri. Bisogna avere il pollice verde, attenti al seme che sboccia. Non sono cose che si possono insegnare, si devono scoprire.
Lo dicevo che è un "gran casino". Operare teatro con i ragazzi è compiere un'alchimia difficilissima. un po' come guidare sulla neve: bisogna essere molto delicati, lasciare che le cose scorrano ma allo stesso tempo prevedere in anticipo i pericoli: le svolte le fermate vanno previste con largo anticipo.
Non è tutto. Occorre sapersi anche districare tra i limiti, le imposizioni delle varie normative, trovare i fondi, convincere i colleghi ritrosi, quietare i genitori preoccupati. ma questo può essere insegnato in un buon corso per il resto bisogna arrangiarsi e fare, fare esperienze, guardare esperienze, confrontarsi con esperienze. La strada ti può essere indicata ma a percorrerla devi essere tu.
Dovendo formulare un'ipotesi di formazione non si può prescindere a mio avviso da questi otto punti strettamente correlati tra loro:
q recupero della spontaneità gestuale ovvero: il corpo non è quella cosa che porta in giro la nostra mente e che ci serve solo per stare seduti sulla cattedra;
q studio delle caratteristiche del linguaggio corporeo umano, con i suoi valori universali e varianti culturali;
q potenziamento delle capacità di comunicare con gli altri in assoluto e nello specifico del proprio gruppo di lavoro;
q socializzare non come slogan di lotta a fenomeni di emarginazione ma come tensione verso la comprensione dell'altro;
q conoscenza del proprio Io come coscienza di "chi siamo" e "come siamo fatti" non soltanto nella struttura fisica e muscolare ma anche nelle emozioni, le sensazioni, il ricordo e tutto ciò che con Artaud si può chiamare "memoria emotiva";
q sviluppo dell'invenzione, della fantasia, dell'immaginazione, componenti essenziali di ogni attività creativa;
q sviluppo della capacità di analisi della comunicazione gestuale così come si esprime in spettacoli teatrali o televisivi o più semplicemente la capacità di decodificare dei messaggi mimico gestuali che passano quotidianamente nei rapporti interpersonali;
q studio dei linguaggi del teatro, soprattutto in riferimento a quelli possibili con i ragazzi nella scuola e nozioni di regia.
In buona sostanza l'operatore teatrale deve possedere quella "tensione" verso il "superare" i propri "limiti" sia espressivi che me tali e voler fare si che questo accada anche agli altri.
Mostrare per dirla con Peter Brook "l'invisibile reso visibile" cercando di afferrare quello che della vita ci sfugge: altri possibili modi di essere.
Francesco Antonini

Francesco Antonini è un operatore teatrale di Arcevia (AN)

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