6 maggio: Siparietto XXI R.N.T.S. Serra San Quirico
IDILLIO MALINCONICO, ATOMICO E URANICO
Tra i tavoli di un ristorante tutto particolare l’Istituto Magistrale
Statale “COLOMBINI” di Piacenza ha costruito uno spettacolo
giocando con immagini di quadri famosi; le ha trasformate in piccole
portate/scene che ironizzavano, stravolgevano o fantasticavano sul possibile
significato dell’opera d’arte presa in questione.
C’è l’aperitivo (gli amanti), Romeo e Giulietta sono
due infelici innamorati, trattenuti da un elastico si dichiarano il loro
amore; seconda portata, arriva l’antipasto!! Un insoddisfatto Dalì non
riesce a dipingere: per sbloccarlo basta un telo steso ad asciugare ed
ecco arrivata l’ispirazione (la persistenza della memoria).
Passano così tutte le portate dal primo (Fucilazione alla montagna)
al secondo (Nostalgia del proprio paese), dal contorno (Il grido) alla
frutta (Autoritratto di Van Gogh), dal caffè (Castello dei Pirenei)
al conto (Guernica).
Lo spettacolo si conclude con l’ultimo quadro, bastano poche parole
per dirci che tutte le cose che ognuno di noi desidera (una casa, cibo
gustoso, gioia, ricchezza per tutti) non sono così facili da ottenere;
queste mancanze, date dalla violenza e dalla guerra portano alla sofferenza,
all’orrore, alla perdita, distruggendo l’uomo ed il mondo.
I ragazzi sul palco circondano una ragazza che parla e ci ricorda, con
le sue parole, la dolce e universale verità che tutti conosciamo
ma spesso ci dimentichiamo: date amore a chi ve lo chiede e non abbiate
paura di aprire i vostri cuori, se qualcuno vi è vicino amatelo
e sarete felici.
Lo spettacolo a volte ha avuto dei cali di tono ma l’idea di base
dello spettacolo (scritta dai ragazzi) è stata originale e le
trovate utilizzate efficaci, la recitazione sincera dei ragazzi ha reso
lo spettacolo piacevole.
Ethel Margutti
TIPO TALPE
Un’inizio d’effetto e “martellante” per lo spettacolo
del Liceo Scientifico Statale “Severi” di Castellammare dei
Stabia(Na), che ci ha presentato lo spettacolo frutto di una attività laboratoriale
a scuola che ha compiuto cinque anni.
Sul palco sono disposti gli elementi mobili della scenografia, gli unici:
enormi bidoni di metallo che di lì a poco avrebbero risuonato
al ritmo improvvisato dai ragazzi, evocando l’idea di uno scenario
suburbano decadente e male illuminato.
Ci troviamo effettivamente in una cava che, dal crollo del palazzo che
si ergeva in superficie, ospita una colonia sui generis di ragazzi che
sopravvivono alla disgrazia (che credono abbia coinvolto tutto il mondo
in superficie) organizzando le loro giornate come possono, per non impazzire
in attesa di essere liberati. Tra tornei di calcio devastanti in stile
Napoli Football Club e momenti di trasporto nostalgico collettivo innescati
da una canzonetta struggente, ragazzi dai passati diversi convivono forzatamente
illudendosi di stare finalmente bene: niente più commenti scontati
e banali da amici e genitori, niente forzature o silenziose lotte interne
per far credere a se stessi e agli altri di essere meglio di ciò che
si è, basta con le bugie. Il tempo passa, e dalla superficie arrivano
segnali contraddittori: sembra che vogliano proteggerli dal male che
c’è di sopra, facendoglielo dimenticare anche grazie a misteriose
pillole, che però non sono sufficienti a far smettere di pensare
alcuni di loro, che continuano a combattere una guerra con loro stessi
e l’esterno.
Uno dei reclusi, rimasto fino ad allora muto, inizia a parlare e riporta
tra i compagni lo Stupore che solo l’immaginazione e la fantasia
possono risvegliare: da pulcino a Pollicino, sul filo della fiaba, Pulcinella
svela il vero motivo della loro presenza nella cava. Nessun palazzo è mai
crollato: ora soltanto sono pronti a uscire per affrontare con coraggio
il caos che domina la realtà e loro saranno in grado di sconfiggerlo.
Una storia a tratti surreale e metaforica che affronta il delicato tema
della depressione e incertezza del futuro nella quale vivono i giovani;
con una energia tutta partenopea, i ragazzi hanno mantenuto sempre alto
il ritmo della narrazione con il supporto di una buona presenza scenica
del gruppo. L’affiatamento e la partecipazione attiva di tutti
i membri del gruppo (sul palco contemporaneamente) hanno contribuito
a costruire una efficace coralità della narrazione. Simonetta
Sbarbati
Esempi di Teatro a scuola
Questa mattina un pezzetto di Rassegna si è trasferito fuori
da Serra San Quirico, andando ad incontrare la prima Scuola che ha aderito
al progetto Esempi. Nato quest’anno, il progetto si propone di
mostrare alle scuole della provincia che ne fanno richiesta il metodo
ATG.
Sfruttando gli operatori già presenti alla R.N.T.S., si danno
agli studenti delle piccole dimostrazioni dei laboratori che si svolgono
durante la Rassegna, cercando di trasmettere l’idea di Teatro della
Scuola che da anni si va elaborando ed arricchendo di idee in quel magnifico
cantiere che è Serra.
La IIA della Scuola Media ”Donatello” dell’Istituto
Comprensivo “Archi-Cittadella Sud” di Ancona ci aspettava
in palestra, dopo l’intervallo. Le operatrici Valentina Impiglia
e Betta Contini Orsetti hanno prima conosciuto il professor Marco Domenichelli,
insegnante di religione: colui che, venuto a conoscenza del progetto
Esempi, ha deciso di proporlo (con successo!) alla sua Dirigente Scolastica.
Riuniti in cerchio, gli alunni insieme alle operatrici, l’insegnante
ed il sottoscritto (in trasferta eccezionale per documentare il tutto)
si sono innanzitutto presentati in maniera…originale. Su consiglio
di Betta, dopo alcune domande preliminari circa le loro precedenti esperienze
teatrali e le definizioni di teatro e di attore che veniva loro in mente,
ciascuno doveva dire il proprio nome disponendosi in mezzo al cerchio
e facendo un gesto con il corpo: battere le mani, schioccare le dita,
scuotere la testa, e così via. Rotto un po’ il ghiaccio,
Betta e Valentina hanno proposto ai ragazzi degli esercizi con il corpo,
cercando di renderli consapevoli dello spazio, spingendoli ad occuparlo
tutto, senza paura di calpestarne i confini: mettendosi in gioco, insomma.
Successivamente le operatrici hanno aggiunto delle variabili all’esercizio:
cambiando velocità, fingendo che il pavimento fosse un’enorme
calamita.
Divertiti, i ragazzi sono passati a qualcosa di più complesso.
Aiutati da musiche più che appropriate, è stato loro chiesto
di interpretare, uno alla volta, i quattro
elementi (acqua, aria, fuoco e terra), concludendo poi con delle piccole
improvvisazioni durante le quali, singolarmente oppure a coppie, i diversi
elementi si incontravano scambiandosi sensazioni.
Nel frattempo il professor Domenichelli e, successivamente, la professoressa
Cicerchia (di Lettere) osservavano soddisfatti ed un po’ incuriositi
i loro alunni dalle gradinate della palestra. Ormai completamente assorbito
dal mestiere di giornalista, il sottoscritto ha scambiato con i due disponibili
docenti alcune considerazioni riguardo all’iniziativa della quale
hanno (saggiamente!) scelto di far parte.
Non nuovi ad esperienze teatrali (con laboratori sul teatro in vernacolo
anconetano ed un musical all’attivo), i due valutano positivamente
l’esperienza (quella in corso, e l’esperienza teatrale in
genere) in quanto strumento privilegiato per far esprimere i ragazzi
al di fuori delle materie tradizionali, nonché come osservatorio
speciale a disposizione degli insegnanti per capire meglio le dinamiche
dei propri studenti. Esemplare il caso di due studenti dell’estremo
oriente, in Italia soltanto da dieci giorni, ed incapaci di esprimersi
al di fuori del proprio idioma, ma completamente a loro agio con gli
esercizi proposti loro da Betta e Valentina, che non necessitavano affatto
dell’uso della parola.
Al termine delle due ore concordate, un po’ stanchi ma divertiti
per l’esperienza sicuramente fuori dal comune, i ragazzi si sono
rimessi in cerchio ed hanno espresso le loro considerazioni che, riassumendo,
si può dire siano state più che positive: un’altra
persona e rilassato i termini usati dalla maggior parte di loro.
Stanchi anche noi, siamo ritornati a Serra con tanti sorrisi in più nel
cuore, ed un esperienza nelle tasche, sicuramente da rifare. Simone Sbarbati
Una poesia che ci ha smsato Sara (Brerina appena partita) dedicata a tutto lo STAFF
“Donare un sorriso rende felice il cuore
Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona
Non dura che un istante ma il suo ricordo rimane a lungo
Nessuno è così ricco da poterne fare a meno,
Ne così povero da non poterlo donare
Il sorriso crea gioia in famiglia, da sostegno al lavoro
Ed è segno tangibile d’amicizia
Un sorriso dona sollievo a chi è stanco
Rinnova il coraggio nelle prove
E nella tristezza è medicina
E se poi incontri chi non te lo offre,
Sii generoso e porgigli il tuo:
Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso
Come colui che non sa darlo.”
(P.Faber)
Vi voglio bene, Sara (Brera)
CHE COS’E' IL TEATRO DELLA SCUOLA?
Difficile darne una definizione precisa, il Teatro della Scuola è… è… che
cos’è?!??
Rullo di tamburi… Oggi è:
1. Crescita, e per gli alunni, e per gli insegnanti.
2. Un progetto di educazione.
3. È come un acquario, più è grande, più i
pesci crescono.
4. Una cosa importante per i ragazzi: per esprimersi in modo diverso
e con più libertà rispetto alle materie tradizionali. Ed è importante
per gli insegnanti per capire meglio gli alunni.
5. Un processo educativo, pedagogico.
6. Crescere insieme, aprirsi a nuovi orizzonti.
7. Divertimento.
8. Fatica.
9. Un gioco che purifica.
10. Energia.
11. Sinergia.
12. Fa crescere più della scuola.
13. Apertura a nuove forme di socializzazione.
14. Imparare cos’è la concentrazione.
POSTA
Dal poeta-maestro Sebastiano Aglieco, ci arriva questa e-mail:
Carissimi, in quest’oasi perbenist-monzese in cui di malavoglia
mi sono ricacciato, già vi vedo, in uno stato semi allucinatorio,
sempre più indaffarati e senza respiro correre dietro le esigenze
e a volte le pretese degli ‘intruppati’ – sarebbero
quelli che arrivano in pullman, non nell’accezione sbarbatiana
che tutti sappiamo -. E già medito. Medito ? Una cosa vorrei dire
in questo meditare accaldato e un po’ sconclusionato: mi è capitato,
prima della partenza, di ricevere, da parte di qualcuno di voi, dei messaggi
personali bellissimi, inaspettati che mi hanno, oltre che commosso, portato
alla seguente, forse banale considerazione: ma allora veramente si possono
dire delle cose anche standosene zitti? A questo punto ne sono veramente
convinto e la riflessione si fa leggermente più ampia: che cosa
comunichiamo ai ragazzi, agli insegnanti, agli operatori che arrivano
a Serra che non passi solamente attraverso la trasmissione verbale ?
E siamo sicuri che, nei salotti d’accoglienza, nei salotti teatrali,
nello stare quotidianamente insieme a loro, nuvolette sulfuree di pensieri
non detti, comunicati con lo sguardo, con la distanza delle mani, non
siano altrettanto efficaci delle parole sposte come bandiere ? E io che
pensavo di starmene zitto, di parlare poco. Quante cose sono passate
attraverso il mio silenzio! Riflettete gente, riflettete!
Un abbraccio
Sebastiano