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1 maggio Siparietto XXI Rassegna Nazionale Teatro Scuola Serra San Quirico

DOG HOUSE

L’Istituto statale d’Arte per la ceramica di Sesto Fiorentino (Fi) ha messo in scena uno spettacolo tratto da un lavoro dell’inglese Gina Moxley.
Europa, Inghilterra, Cork: l’obbiettivo zooma su una strada periferica che è la via lattea di un universo riassumibile in una manciata di numeri civici, parte integrante dell’identità stessa dei protagonisti-satelliti della nostra storia: l’infanzia è un ricordo caldo e rassicurante che riaffiora di quando in quando nei giochi in strada, la maturità è dietro l’angolo, per alcuni di loro una precoce sveglia già suonata di cui rimane l’eco a rimbombare nelle orecchie.
Il posto è sempre lo stesso, la gente pure uguale a se stessa: che hai fatto ieri sera, hai sentito, sono zia, il neo papà non fa che vomitare e la nonna grida per casa rimproverando alla povera Dee “di aver messo in forno la pagnotta troppo presto” (perché ci è cascata anche lei troppo giovane) ma aspetta che prenda in braccio il pupo e vedrai come si scioglie…
E’ arrivata una nuova famiglia al numero 13, sembrano tipi strani, i quattro figli di quel tizio che non si vede mai, stanno sempre chiusi in casa, ogni tanto il capo marziano esce col disco volante…vabbè, che si fa oggi?
E intanto a pochi metri di distanza, i nuovi arrivati si rendono conto che non basta cambiare casa per dare una svolta alle loro vite; non tace il rumore sordo dal piano di sopra che li fa sussultare ogni volta che il padre li chiama battendo una, due, tre, quattro volte, facendo risuonare tutta la casa solo dei battiti dei loro cuori mentre il suo prezioso cane abbaia in giardino.
Un giorno i due gruppi di ragazzi si incrociano su quella stessa strada, la paura di crescere, le prime relazioni che danno insicurezza e un segreto che pesa sulla fragile ‘n° 3’ ma anche su gli altri fratelli, che si sentono con le mani legate e impotenti nei confronti di un padre violento.
Un avvenimento improvviso (la fuga del cane), sbloccherà l’ingranaggio malato, causa-effetto: il male non può schiacciare la voglia di vivere di piccole donne e uomini che stanno lottando per ritagliarsi una fetta di serenità in un mondo sordo alle loro esigenze.
Frutto di una intensa attività laboratoriale portata avanti dal gruppo di ragazzi di Sesto F., nonostante la scarsa partecipazione degli insegnanti, lo spettacolo andato in scena ieri sera ha saputo contare su un’energia mantenuta
sempre alta, grazie anche alla freschezza del testo
L’operatore Sebastiano Aglieco ha apprezzato l’intervento sul testo, calzante sottolinea l’efficace adattamento ricorso ad un copione con un linguaggio di stampo adolescenziale che ha dato una impronta realistica-naturalistica alla narrazione.

Verso la fine si è registrata una caduta di ritmo: forse sarebbe stata necessaria una riduzione del testo.
Molto interessante la scelta del finale, che ha trasmesso efficacemente le intenzioni comunicative senza ricorrere alla parola ma alla sola efficacia del gesto liberatorio.
Gran lavoro di ricerca sul personaggio, nota l’operatrice Valentina Impiglia (che con i ragazzi di Sesto Fiorentino ha condotto un laboratorio), unita ad una azzeccata assegnazione delle parti, molto energetiche e realistiche (linguaggio a volte esageratamente forte), grazie anche a delle scelte musicali adeguate; ben gestita la narrazione parallela delle due storie sul palco.

PICCOLE PAROLE DI PACE

“È iniziato un nuovo secolo e ancora si sentono rumori di guerra. Lontano, vicino, ovunque”. I bambini della quinta Elementare “A.Negri” di Oreno di Vimercate (MI), occupano tutto il palcoscenico: sono ben quarantadue, come le guerre che stanno insanguinando il nostro pianeta: “Palestina…Israele…Afghanistan…Kosovo…Kashmir…Angola…Rwanda…” ad ogni bambino corrisponde un paese. Ma non c’è soltanto la guerra: la violenza è anche nella vita di tutti i giorni. Disobbedire, non ascoltare chi sta parlando, fare a botte, prendere in giro: anche questa è violenza, e si combatte soltanto “imparando a conoscersi, perché quando non si conosce si odia”.
Ma gli adulti ? Loro l’ hanno capito cosa bisogna fare ? Sembrerebbe proprio di no…ed ecco i piccoli attori che, spogliandosi delle loro maglie bianche, impersonano i grandi. Vestiti di nero, poco inclini alla parola, fanno versi, urlano, si attaccano l’un l’altro, non ascoltano i bambini. E quando questi protestano, chiedendo di poter sognare, poter essere unici, l’unica cosa che gli adulti sanno fare è trovare un modo per non farli pensar troppo. Ecco allora: la tv, i centri commerciali, i videogiochi, i vestiti firmati, i telefonini…ed ognuno di questi si trasforma in un colpo che i bambini evitano. Ma non riescono a resistere molto, ed ecco che pian, piano tutti cadono nella trappola.
C’è bisogno di risvegliarsi, di rivoltarsi. I bambini propongono un Codice.
1- Rispettare le differenze
2- Punire la sete di potere
3- Vietare lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi
4- Abolire i soldati e le armi
5- Eliminare le frontiere
6- Insegnanti e genitori devono saper insegnare la pace
Se questo codice non viene rispettato, i bambini minacciano di rinchiudersi in un impenetrabile mondo di fantasia, o ancor peggio, di scappare tutti nella savana, dove nascondere i pensieri di guerra dietro ai cespugli.
Se invece, finalmente, tutti rispetteranno le regole, il mondo sarà un mondo da colorare con le tinte della Pace.

Nato da una tavola rotonda tenutasi in classe, in cui i bambini parlavano dei loro comportamenti e dei loro litigi, mettendo assieme i propri pensieri e cercando una soluzione, lo spettacolo è stato giudicato dagli operatori intervistati come efficace, con un bel ritmo. L’operatrice Valentina Impiglia fa però notare un eccessivo utilizzo in scena di esercizi laboratoriali ripresi in maniera pedissequa, senza contestualizzarli rispetto alle necessità dello spettacolo.

CUPIDO COLPISCE ANCORA

La scuola elementare “Ponte Galeria” di Roma questa mattina ha proposto uno spettacolo riproponendo la favola de La Bella Addormentata nel Bosco in chiave moderna e futuristica realizzato con una semplice e lineare scenografia.
Una piccola presentazione iniziale chiarisce al pubblico l’idea generatrice ed il tema portante che ha guidato i ragazzi e le insegnanti a realizzare il loro spettacolo (l’amore con la A maiuscola che abbraccia tutti senza distinzione di razza e religione).
Il sipario si apre sull’immagine di una donna triste perché desidera ardentemente avere un figlio che non arriva, si rivolge così alla Maga Melina, chiromante telefonica, che, leggendo i tarocchi, annuncia alla donna affranta che presto avrà una bambina.
Così avviene: arriva Jessica. Durante la festa organizzata da amici e parenti per omaggiare la sua nascita, la bimba riceve la visita di tante fatine che le donano doti canore, tanta allegria e simpatia, fortuna al gioco, fantasia e creatività, saggezza e tanta bellezza: chiunque l’avesse guardata si sarebbe innamorato all’istante di lei.
Ma all’improvviso, una fata indispettita per non essere stata invitata alla festa lancia un terribile maleficio contro Jessica: nel giorno del suo sedicesimo compleanno la ragazza sarebbe morta con un gas velenoso. I genitori preoccupati e tristi chiedono aiuto alla fata Speranza che, non avendo potere di eliminare l’incantesimo, lo modifica: Jessica avrebbe dormito per 300 anni.
Il tempo passa e arrivano velocemente i 16 anni, Jessica è cresciuta, i genitori decidono di fare una festa in discoteca con tanti amici… ma all’improvviso una nube tossica avvolge l’allegra combriccola e tutti quanti si addormentano all’istante.
Passano trecento anni quando giungono sulla terra dal pianeta Venere il tenente Spack ed un amico, che incappano casualmente in Jessica e compagni.
Dopo una romantica dichiarazione d’amore del tenente per la bella ragazza addormentata, l’incantesimo si dissolve e la storia si conclude con la loro felice unione.
Lo spettacolo non sempre è riuscito a mantenere il ritmo vivace che in alcuni punti era presente, i bambini sono apparsi divertiti anche se il linguaggio usato, spesso, non si addiceva alla loro età.

NAVIGANDO… NAUFRAGAR

Quanti novelli Robinson Crusoe abbiamo visto in passato brancolare assetati e con le vesti strappate su una battigia inospitale, ma che ne dite questa volta di un manager di successo catapultato su un’isola immaginaria dopo una terribile tempesta elettronica?
I ragazzi della Scuola Media “D. Alighieri” di Collarmele (AQ) hanno immaginato per noi una insolita avventura per un disincantato viaggiatore comodo dei nostri tempi.
Vittima di un naufragio informatico ( nel quale le uniche reti di cui sentiremo parlare non conterranno mai pesci ma informazioni e dati), il nostro protagonista Alessandro si risveglia su una spiaggia deserta e inospitale, sospesa nello spazio e nel tempo, cosa inconcepibile per lo yuppie pragmatico abituato a organizzare in modo produttivo ogni singolo minuto della sua giornata.
Unico compagno di sventura il suo amato computer portatile, con il quale fino ad allora era riuscito a far fronte ad ogni problema: ma qual è la password?
Non resta che cercare di adattarsi alla nuova situazione, ritrovando, dopo un iniziale scetticismo, lo stupore della natura ospitale e meravigliosa nonostante tutto.
Forse si può sopravvivere anche senza traffico, smog e impegni serrati!…ma la solitudine si fa sentire, nessuno può bastare a sé stesso a lungo.
All’improvviso, come se fosse stato ascoltato, gli indigeni del luogo escono timidamente dalle loro capanne per studiare il nuovo venuto, non senza un certo timore misto a curiosità: chi è quell’uomo vestito in modo strano e perché parla in quel modo?
A poco a poco, Alessandro e i civili-selvaggi della tribù che abita l’isola imparano a conoscersi e l’uomo di città scopre la bellezza delle maree, dei silenzi e delle armonie che solo la natura riesce ad orchestrare così sapientemente.
Per un momento la mentalità imprenditoriale di Alessandro riaffiora, facendogli pensare di poter sfruttare l’isola per impianti turistici, ma la saggia semplicità dei selvaggi fa sì che rinsavisca: il mondo che credeva di conoscere non è il solo né il migliore.
La tecnologia non dà tutte le risposte né tantomeno garantisce la felicità: il manager scopre di avere degli amici sull’isola, habitat ideale e incontaminato anche per far nascere nuovi amori…
Internet ( o Interet, come lo chiamano lì) è una realtà del suo tempo, che vive di velocità e stress senza fermarsi mai; ma a che serve un computer quando il rischio è quello di rimanere senza cibo a causa della scarsità delle piogge?
Solo la fede degli indigeni nella natura riuscirà a mutare le sorti del villaggio, che poco dopo verrà benedetto da una provvidenziale pioggia.
Ma ormai è tempo per Alessandro di fare ritorno alla sua dimensione, certo che le cose che ha visto e provato come “uomo nuovo” non saranno perse; c’è bisogno di bellezza anche (e soprattutto) nella caotica città.

“Un ’allestimento semplice e pulito per uno spettacolo pensato e scritto dagli stessi interpreti a scuola - commenta l’operatore teatrale Francesco Antonimi- “Si capisce che è stato fatto a monte un significativo lavoro di ricerca sull’ambiente e sul modo di vivere nelle tribù.
In alcuni momenti il ritmo della narrazione ha subito dei rallentamenti, anche forse per una certa staticità dell’impianto narrativo; interessante la trovata di utilizzare le ombre per la scenografia, che però si sarebbe potuta sviluppare ancora un po’ per arricchire lo scenario.”

PROGETTO INCROCI 2003:
“ vediamoci” a Serra (TERZA PARTE)

L’esperienza Incroci, giunta al termine tra alti e bassi due giorni fa, continua a far parlare di sé sulle pagine del Siparietto, per non lasciare cadere la proposta prima ancora che la “semina” abbia iniziato a dare i suoi frutti..
Dopo aver raccolto le confidenze delle due incrociate romane (Anna Rumi e Flavia Biondo), ora è il turno di lasciare spazio alle impressioni della terza insegnante coinvolta nel “progetto del vedere”, la veneziana Serena Rabitti.
Come ti sei avvicinata alla proposta Incroci di quest’anno?
Credo nella formazione degli insegnanti che portano a scuola una progetto teatrale per coinvolgere i propri alunni; finora le mie esperienze teatrali le ho condotte con la collaborazione di un nutrito gruppo di insegnanti, mentre il confronto con operatori teatrali è stato sempre frammentario, mai continuativo.
Conosco Loredana Perissinotto (presidente dell’AGITA), con la quale ogni tanto ci siamo confrontate, ma tanti operatori come qui a Serra credo di non averli mai visti. Mi sembra che questa sia una buona vetrina per loro, una opportunità di affermare la loro valida professionalità.
Tornando a noi, riguardo la scheda di valutazione sulla quale abbiamo lavorato in questi giorni, sarebbe una griglia funzionale per una analisi critica utile alle scuole in sede di verifica interna: forse ciò di cui si avrebbe bisogno, prima, è una sorta di “vera recensione” dello spettacolo curata da un addetto ai lavori.
A caldo, ti viene in mente qualche consiglio per una migliore riuscita del prossimo turno?
Secondo me sarebbe necessario rivedere il numero dei partecipanti: se fossimo stati più numerosi, le possibilità di confronto alla pari tra insegnanti ne avrebbero giovato in qualità. Come pure per gli operatori, il momento migliore per parlare con lo STAFF, quello in cui il grado di disponibilità è al suo massimo giornaliero, è quello dei pasti: a tavola ci si passa (oltre al sale) conoscenze e valutazioni sugli spettacoli e le attività del giorno come è difficile fare altrove.
Come è stato fare parte dello STAFF come spettatrice-attiva?
Mi sono sentita accolta bene e, come dicevo, gli operatori per me sono stati una vera scoperta, oltre ad una organizzazione, fatta di persone molto valide, ma poco pubblicizzata in Italia; è un’offerta, la vostra, che meriterebbe più attenzione, perché partecipando ad una rassegna di teatro è importante sapere di poter garantire ai ragazzi che hanno lavorato duramente degli spazi adeguati e la possibilità di assistere ad altri spettacoli.
Altre critiche(rigorosamente costruttive) da sottoporci?
Dalla mia esperienza dell’anno scorso, suggerirei di fare di tutto (fin dove logisticamente si può arrivare), per cercare di far andare in scena gli spettacoli il prima possibile, cosicché i ragazzi possano spendere il loro soggiorno al meglio, “tolto il pensiero” e le agitazioni legate alla rappresentazione.
Su questa linea, bisognerebbe cercare di moltiplicare le occasioni di incontro e confronto tra i ragazzi, che potrebbero giovarne enormemente (così come i loro insegnanti), sia a livello sociale che educativo.
Insomma, prof., grazie di tutto e a ri-incrociarci!

Corsivi e…ricorsivi storici
Incroci.
Pericolosi? Virtuosi? Neutri?
Il progetto “Incroci”, primo turno, si sta avvicinando alla conclusione. Tre insegnanti hanno vissuto la Rassegna nella trasparenza di ogni momento organizzativo, spettacolare, pre-spettacolare, salottiero, teatrale-laboratoriale.
E’ un progetto nuovo, quest’anno, quello di “Incroci”. Un progetto sul vedere. Ma, ci si dice, vuoi…vedere che il “vedere” è meno appetibile del “fare”? Meno divertimento; meno gioco; meno coinvolgimento.
E allora il teatro della scuola sta tutto nel “fare”?O non è magari che partecipare alla elaborazione del progetto, e la riflessione, il confronto etc etc. siano invece un “fare” molto pieno, anche se di diversa caratteristica, di una natura diversa, meno visibile?
Perché se è pur vero che il “corpo ha un pensiero”, è anche vero che bisogna dare “corpo al pensiero” con l’esercizio della riflessione. Oppure no?
G.B.Vico